Come un romanzo. Roberto Faganel; fra note e colori

"Si alzò con fatica dal semplice giaciglio al suono del Mattutino. Passandosi una mano tra i folti capelli scuri cercò con l’altra il saio bianco che gli era stata consegnato al suo arrivo soltanto perché, in chiesa, i vostri abiti civili non spicchino troppo e i confratelli in preghiera non ne siamo distratti gli aveva detto padre Gregor. Lo indossò trattenendo a stento un brivido: anche a luglio l’aria frizzante della notte si faceva quasi gelida tra le spesse mura dell’antica certosa.
Provò a indovinare il paesaggio oltre la finestra: il buio inghiottiva gli alberi del giardino e gli orti, ma l’algido chiarore lunare evidenziava qua e là sui fichi, i melograni, gli ulivi, il lucore dei frutti ancora acerbi e delle foglie. L’odore della notte si concentrava nella pungente umidità che trasudava dalla terra e dall’erba, invadeva le narici e richiamava il cervello alla veglia. Per un momento si dette dello stupido per aver chiesto il privilegio di provare la stessa vita dei monaci per tutto il tempo della sua permanenza al monastero. Immediatamente dopo scacciava il pensiero insolente già pregustando la dolcezza e l’armonia - pace dell’anima, amore infinito - che di lì a poco avrebbero pervaso ogni sua cellula.
Con la sua voce da tenore — oh, com’erano stati felici i monaci quando avevano appreso la sua vocazione canora! — avrebbe accompagnato le lodi che si ripetevano ogni giorno in secula. Nulla era mutato (nunquam reformata quia nunqua deformata - come a dire che mai c’era stata la necessità di riformare poiché nulla mai s’era deformato - era la massima che distingueva l’ordine) da quando, nel 1084, Bruno da Colonia aveva ricevuto l’autorizzazione dal vescovo di Grenoble, Ugo, a insediarsi insieme a sei amici in cima a un monte. Se anche per Pleterje valeva quanto Clemente VI aveva affermato e cioè che chiunque fosse riuscito a trascorrere anche una sola notte in una cella certosina avrebbe cancellato tutti i suoi peccati, allora lui aveva già passato la spugna anche su quelli futuri.
Non certo il motivo per cui si trovava lì. Ciò che aveva mosso i suoi passi verso il santo luogo era stata la necessità - o almeno tale lui l’avvertiva — di dare la fatidica svolta alla propria vita. A ventitré anni sentiva con prepotente urgenza il desiderio di dedicarsi a un’arte soltanto. Avrebbe speso l’esistenza nel tentativo di cogliere l’anima della musica o della pittura."
La mia mente di scrittrice non può fare a meno di entrare in fermento mentre Roberto Faganel si racconta. Concentro l’attenzione e intreccio all’ordito delle sue parole la trama di una possibile storia. .. perché la vita di quest’uomo dalla barba ieratica potrebbe davvero essere scritta come un romanzo.
Ma la serietà dello storico — cui la musa Clio impone la ricostruzione oggettiva dei fatti - prende il sopravvento e ripercorro le tappe attraverso le quali il pittore, nato a Vertoiba nel 1941, e giunto oggi a rappresentare con la sua arte Gorizia nel mondo. Lo faccio naturalmente a modo mio, senza tediare il lettore con notizie biografiche contenute in tutti i suoi cataloghi (se non ce l’avete, vi consiglio vivamente di procurarvi quello generale Roberto Faganel, presentato da Claudio H. Martelli, Italo Soncini, Franc Zalar, Jurij Paljk, Gorizia 2001): prendo quindi metaforicamente la rincorsa e con un salto atterro proprio davanti all’entrata della Kartuzija Pleterje (Certosa di Pleterje) in Yugoslavija.
E’il mese di luglio del 1964: qui, il giovane Roberto è approdato da poco per capire, nella solitudine e nel silenzio che contraddistinguono l’ordine certosino, quale indirizzo dare alla propria vita. Non vuole sprecare i talenti che gli sono stati donati, ma comprendere come farli fruttare al meglio: i suoni sottili del suo violino lo accompagnano da tanti anni e al Conservatorio di Trieste forse qualcuno ripone più di qualche speranza in lui...ma si sente attratto anche dal biancotela intonso su cui pub stendere i colori del mondo.
Suoi maestri sono stati Nino Perizi e Riccardo Tosti: sotto la loro guida ha appreso la tecnica, ora è tempo di metterci del suo. E numerosi sono già i quadri appesi alle pareti, lungo i corridoi, in attesa di asciugarsi. Nella cella messagli a disposizione dipinge e consuma i pasti — ogni giorno qualcuno si premura di passarglieli, come ai monaci, attraverso un’apertura del muro -. Segue, per una sua precisa richiesta, le Ore liturgiche: il Mattutino, le Lodi, la Messa conventuale, i Vespri. Naturalmente non gli è stato consegnato alcun saio - è una piccola licenza che mi sono presa - poiché soltanto a chi ha espresso l ’intenzione di prendere i voti é concesso indossare l’abito. Ma la sua voce da tenore accompagna volentieri le preghiere. La vita, per i monaci e i fratelli di Pleterje, è scandita dalle preghiere e dal lavoro - manuale o intellettuale cui ciascuno si dedica secondo le proprie attitudini e inclinazioni -. Le stagioni segnano il ritmo di un tenero immutato nei secoli. Non è facile adattarvisi, ma Roberto ha ormai preso la sua decisione - la pittura, si! - e già pensa al rientro nella quotidianità.
Improvvisamente un evento inaspettato lo coglie di sorpresa: la regola del silenzio impone che non possa scambiare parola con nessuno se non con padre Ciril, incaricato dei contatti con l’esterno. E con parsimonia. Molta, se di quanto sta accadendo il giovane pittore di nulla è a conoscenza: alcune berline scure sono parcheggiate nello spazio antistante al portone d’entrata e c’è un insolito movimento questa mattina. Il perché gli è chiaro nello stesso momento in cui si trova davanti a Josip Broz Tito in persona - con gli uomini della sua scorta - seguito dalla moglie — compagna Jovanka (a cui sarà dato il permesso straordinario di visitare l’interno del monastero, prima e unica donna).
La visita del Maresciallo è un evento importantissimo dal punto di vista storico: essa rappresenta il tacito riconoscimento del ruolo essenziale che, per centinaia d’anni, la Chiesa - cattolica ma anche ortodossa — aveva avuto nelle vicende e negli sviluppi culturali - soprattutto per quanto concerne la costituzione di un’identità nazionale - degli Slavi del sud. Tito aveva sicuramente — e finalmente capito che la Storia non può essere cancellata sovrapponendole un apparato ideologico, andando ad annullare una parte consistente del patrimonio tradizionale popolare. Patrimonio, per altro, che egli stesso sosteneva e valorizzava nelle specifiche peculiarità etniche — anche attraverso l’imposizione di nuovi elementi di ispirazione socialista che potessero fungere da collante tra le diverse nazionalità… ...divide et impera - sebbene in aspetti diversi da quello religioso.
Dunque quanto allora direttamente vissuto dal nostro Faganel è di portata eccezionale. A testimoniare quell’incontro le fotografie che ritraggono un giovanissimo Roberto accanto a Josip Broz, la moglie e padre Ciril. Resta infine il ricordo di quei due dipinti che il Maresciallo apprezzò e volle portare con sé. Il compenso? Non mai onorato. In seguito, tra gli oggetti da collezione rinvenuti nella tenuta di Brioni del dittatore yugoslavo, venne ritrovata una sola delle due tele. Ora il piccolo cane Paki chiede insistentemente di entrare mentre la pioggia di questo strano mese di gennaio picchietta sui vetri. Il suono di una risata di concento per una battuta di Carmen, moglie di Roberto, un calice di vino scarlatto, i colori, le forme, le sensazioni, gli aromi catturati nei suoi lavori mi parlano la lingua di un mondo percepito intensamente. Come lo splendido rossobacca Masai intorno al fuoco capace di trasmettere i densi profumi della terra africana nella notte e il secco crepitio delle fiamme. Come gli innumerevoli acquerelli raccolti in ordinate cartelle — ognuna contrassegnata dal nome di una terra regione o viaggio - sui tavoli del suo studio.
Come il piccolo capolavoro — azzurrocielo e giallo ginestra della ventosa Borgogna – che stringo, incredula, tra le mani. "Prendi. E tuo. Roberto Faganel è fatto così."
 
Alessandra Rea