50°29′S, 73°03′W - Perito Moreno

Lo Stretto di Magellano è un esempio di come la natura imita l'arte. “Un cartografo di Norimberga, Martin Beheim, disegnò il passaggio a sud-ovest affinché Magellano andasse a scoprirlo”. Ricordava Bruce Chatwin nel più celebre racconto di viaggio del Novecento, In Patagonia. “Tierra del Fuoco, Terra del Fuoco. I fuochi erano quelli di un campo di indios fuegini. Secondo un'altra versione Magellano vide solo il fumo e la chiamò Tierra del Humo, Terra del Fumo, ma Carlo V disse che non poteva esserci fumo senza fuoco, e cambiò il nome”.
Fino laggiù, nella terra eccentrica per eccellenza, si è spinto Roberto Faganel.
Dopo le Hawaii e le Canarie, Kerala e la Tunisia, l'artista viaggiatore giunge al limite. Della terra. Del clima. Del colore. Limite che risponde alle coordinate 50°29′ sud, 73°03′ ovest: Perito Moreno, ghiacciaio maestoso che deve il nome a Francisco Pascasio Moreno, esploratore argentino a cui un cacicco della Patagonia, nel 1879, descrisse un mostro dalla testa umana e dalla corazza ossea. L'elengassen. Terra del Fuoco, terra di favole abitata da una fauna misteriosa, in cui Faganel si addentra affascinato dalle possibilità mitiche che offre.
Con Perito Moreno, l'artista ingaggia un gioco d'ombre in equilibrio tra la probabilità neutra della realtà visibile esperita e la tessitura, ordita con sottilissimi fili, del simbolo che soggiace al clangore dello schianto, della stranezza di questo ghiacciaio.
La profondità dei piani d'olio, dei toni celestini che imbrigliano la sapienza cromatica nel rigore compositivo, annunciano la fine del mondo, l'ardore asimmetrico del fortuito, l'inverosimile bellezza del caso.
Le opere che compongono il ciclo Perito Moreno, obbligate dalla forza del reale, si danno all'osservatore meravigliosamente colme di quella discontinuità tipica della finzione.
Michael Foucault nel saggio su “Il giro del mondo in ottanta giorni" di Jules Verne osservava: “parlanti spuntati chissà da dove che intervengono facendo tacere chi parlava prima, per un istante tengono i loro discorsi, e poi subito cedono la parola a un altro di quei visi anonimi, a quelle grigie sagome”. Grigie sagome che per Faganel collimano con le colonne del ghiacciaio; monumentali blocchi di Perito Moreno che si muove, che vive espandendosi e polverizzandosi con rumore infrangendo il silenzio del lattiginoso lago.
Un miracolo visivo catturato con una pennellata data in larghe masse di colore giustapposte verticalmente: dinoccolati comignoli e smisurate pareti gelate che parlano con il linguaggio primitivo dello spettacolo naturale.
Faganel allo specialista Moreno vi arriva da Buenos Aires, la cui storia, fa notare Chatwin, è scritta nel suo elenco telefonico: Pompey Romanov, Emilio Rommel, Crespina D.Z. de Rose, Ladislao Radziwil ed Elizabeta Marta Callman de Rothschild...
Dalla capitale direzione sud, verso la penisola di Valdes, e oltre, nella Terra del Fuoco. Il Canale di Beagle, lo stretto che deve il suo nome al temerario capitano Robert FrizRoy che, a 74° 15′ più a sud di quanto nessuno avesse mai navigato, dal ponte di comando del brigantino a dieci cannoni e dal nome di una razza canina, scorse - insieme al giovane naturalista Charles Darwin - balene e uccelli del genere della procellaria azzurra. Darwin vedendo per la prima volta quel paesaggio, il 29 gennaio 1833, appuntò sul proprio diario: “molti ghiacciai del più bel blu berillo creavano un contrasto con la neve”.
Faganel, oltrepassa il centro abitato di Ushuaia e la colorata Calafate e apre la vista sull'orizzonte del Lago argentino con i ghiacciai Upsala, Onelli e Agassiz. Prologo a Perito Moreno che l'artista, riecheggiando l'autore de “L'origine della specie”, descrive con bianco di titanio, zinco bianco, verde smeraldo, verde turchese, blu oltremare, blu di cobalto o di Dresda, blu di Prussia o di Berlino. Pigmenti che tende netti, rendendo con libertà sapiente in linee che si proiettano aggressive. Verticalità che dal cielo sprofondano nell'abisso del lago.
Il percorso espositivo si può leggere come una successione di prove, di avventure contraddistinte da avvenimenti rituali: l'approdo, il superamento, la tragedia pirotecnica di spicchi che rovinano fragorosamente inscenando il momento più drammatico. In questo blocco di quadri affiora il tema della natura schermo di proiezioni dell'inquietudine che travolge l'uomo.
Fratture glaciali che alludendo ad un fenomeno naturale potente ed emozionante - in un risultato pittorico teso e crepitante - si caricano di una riflessione psichica interiore. Fratture che Perito Moreno ricompone e armoniosamente assorbe in ferite senza cicatrici, aprendo così alla possibilità del raggiungimento del liminare assoluto, e ritorno. Ritorno all'approdo originario: un paesaggio dove in un cielo di nuvole gonfie provenienti dal Cile, si staglia una costa di sdrucciolevoli pietre scure levigate sovrastata da montagne blu-magenta.
Ogni opera del ciclo Perito Moreno, diversamente l'una dall'altra ma con egual efficacia - gli oli con fremiti e gonfie pastosità, gli acquerelli con modulate e vibranti trasparenze, la puntasecca con i suoi segni aguzzi impressi con inchiostri ocra quasi a sottolineare l'eccezionalità del piccolo multiplo - si dona con forza drammatica e sottaciuta commozione rivelando come, per Faganel, la creazione ha a che fare con lo shock emozionale. L'artista non abbandona comunque il mestiere.
Se l'arte esiste in presenza di un dono manuale, oltre che concettuale. Se l'arte c'è se c'è talento e abilità chiaramente padroneggiata, Faganel, contro ogni mercato dove il potere d'acquisto è sinonimo di gusto, ci offre opere create non in funzione della valutazione economica che per lui è solo una delle interpretazioni possibili. Sicuramente non la più interessante.
Per Faganel la pratica dell'arte contemporanea non è uno scopo in sé ma un modo di vivere che esercita nella quasi-gratuità, nell'impossibilità di stabilire una relazione economica coerente tra l'opera e il dispendio che gli è costata. Una pratica dove, più che la notorietà grazie all'arte, la gratificazione sta nel piacere di creare.
“L'arte è ciò che rende la vita più interessante dell'arte” rispondeva Robert Filliou all'aforisma di Oscar Wilde per cui “la vera scuola dell'arte non è la vita ma l'arte”.
L'arte di Faganel si dà nella confessione di non disporre di verità assolute ma nella possibilità d'indurre ciascuno a godere più intensamente della vita forse memore di quel Marcel Duchamp che faceva di tutte le ricezioni ulteriori dell'opera il punto finale continuamente allontanato della creazione.
Visto in quest'ottica, il ciclo Perito Moreno, può essere letto come racconto di formazione che obbedisce alla legge naturale, autonoma dinnanzi ad occhio umano, della metamorfosi.
Come l'eroe del romanzo di Verne, qui l'artista alla fine del viaggio, è venuto a scoprire una verità più bella ed oscura, ma una verità che già conosceva e di cui intravedeva, ancor prima di partire, il suo sfolgorio lontano.
 
Cristina Burcheri