Sulle tracce del viandante

La Pittura per Roberto Faganel è uno specchio. In esso si riflette il mondo attraverso un gioco di rifrazioni e di bagliori, ora tanto intensi da stordire, ora appena accennati. E la ricerca di attimi - assoluti e vivificanti per le cose su cui l’artista posi lo sguardo - ha il carattere simbolico del viaggio spirituale compiuto a ogni passo del suo peregrinare nella realtà amplificata alla sublimazione.
Percorre luoghi, li accoglie in sé, li trasforma. La memoria si dilatata a comprendere frammenti, sprazzi luminosi, per fissarne i contorni con un segno che esprima il gioioso riaffiorare alla coscienza, carico di tesori a lungo cercati. Così la sua anima di viandante si appaga nei baleni di un universo ritrovato, entrando in sintonia con forme nascoste per assorbirle e restituirle, nell’atto della creazione, come prodigi di gratuità.
L’albero rosso che si accende tra i palmizi rigogliosi di una spiaggia hawaiana è per lui una tappa mistica, poiché nel suo disvelarsi improvviso e unico offre la chiave di un Paradiso terrestre in cui i colori sono sovrani e si rincorrono componendo un’armonia straordinaria di acque, canne, fiori, idoli, donne sensualissime, spume marine. Sensazioni che si sommano a sensazioni e tolgono il fiato.
Esperienze visionarie che travalicano le barriere del razionale rendendo lo spettatore indifeso, qualsiasi soggetto diventi meta dell’itinerario di scoperta, sia essa il Grand Canyon rosseggiante nel meriggio o arso di stelle nel blu cobalto di notti da inizio della storia umana, oppure la campagna delle origini arabescata a vitigni come creature contorte.
Ma l’ispirazione di Roberto Faganel non si nutre solo di emozioni forti, sa anche suggerire. Allora, l’eleganza sinuosa dei fenicotteri di N’Goro N’Goro o il drappeggiarsi sottile dei sari sui corpi delle donne di Kerala imprimono un’accelerazione alla mente che si volge, d’istinto, a cogliere l’arcano del ciclo naturale sotteso alla genesi di tanta meraviglia.
In un’intermittenza del cuore simile alla scansione ritmica di un lampo percettivo.
 
Irene Navarra, Quaderni di critica, 11 giugno 2010