Anima mundi

L’ esplosione della natura. Il suo principio. Un fiore nasce da un seme così come un quadro da un’ispirazione; l’intuizione che raccoglie e ruba l’anima delle cose e il fuoco di Prometeo, intelligenza neoplatonica che precorre e precede la materia. Le dà vita. L’Anima Mundi.
Osservare gli acquerelli di Faganel e vivere un miracolo prezioso. Immersi d’istinto nel fervore del loro evolversi, riusciamo a discernere l’origine dell’atto artistico: il senso della neve, la matrice cromatica di una terra, la genesi di un popolo, il palpito di un fiume, la bora che scappa violenta tra gli alberi, l’opulenza dell’oceano, la prepotenza di corolle ed erbe in piane rigogliose, lo splendore schivo del Carso, la forza primordiale dei deserti.
Sono percezioni sempre differenti che fanno vibrare corde particolari, toccano l’immaginazione, amplificano le visioni. L’uomo che indaga la sua natura e le sue radici torna di necessità nei luoghi natii. Le immagini sono nitide poiché frutto di una rielaborazione emozionale. Ore e ore a contemplare le crepe di una pietra, un tronco contorto e solitario o un riverbero d’argento sull’acqua trasformano la realtà in una quinta scenica di poca importanza. Poi, e la mano guidata dallo stupore a ricostruire la folgorazione di un attimo, l’idea trascendente, pregna di un significato che va condiviso nell’assoluta liberta di codifica individuale.
Si svelano cosi le acque, i campi curati e i boschi della Slovenia. I dipinti cronologicamente lontani hanno impianti solidi. Le pennellate decise e larghe graffiano la carta che le accoglie. Con il tempo e con la sperimentazione progressiva la materia colore si distilla, diviene quasi diafana e nebulosa, ma sicuramente più evocativa. Gamme di azzurri e bruciati si alternano a verdi morbidi e rossi passionali.
Nella poetica di Roberto Faganel la luce recita il ruolo principale, divenendo quindi il motivo conduttore di tutte le sue creazioni: nell’acquerello è proprio l’assenza di pigmento che illumina i soggetti, ne definisce i contorni e li esalta. E ciò fa pensare. La gran parte dei disegni preparatori di Faganel è costituita da acquerelli — delle vere e proprie opere prime - con una loro identità forte rispetto a quanto ne scaturirà. Fu Albrecht Durer a dare valore di genere autonomo a questa tecnica per nulla semplice, quando, nel suo viaggio verso Venezia, dipinse gli scenari che incontrava. Parliamo di epoche e stili diversi, certamente, ma l’amore per l’arte, nel suo senso più puro, forse accomuna i due maestri nella tensione alla compiutezza.
La compiutezza in questo caso e anche sinonimo di studio e analisi profonda, non solo interiore. Faganel infatti esprime il suo spirito di viandante attento sia nei cicli "naturali" che in quelli "umani" e "architettonici". Se descrivere la natura e una pulsione intima, raffigurare ciò che normalmente guardiamo senza vedere, sembra un’impresa piuttosto complessa. Eppure lo sguardo del pittore è in grado di andare oltre. I suoi viaggi sono ricerche minuziose, bagni di folla, lunghe sessioni di taciturno incanto. Catturare la realtà e rivelarla trasmutata dal sentire e il mezzo per presentarne l’anima bella, malinconica o allegra che sia. Le coltivazioni del Gargano, le cave del Rossiglione, l’India e la sua gente, le Hawaii, la Polinesia, gli Stati Uniti, il Canada, l’Africa, la Tunisia, la Spagna, l’Austria, le piante nascoste del suo giardino e l’amato Carso. Acquerelli come appunti di viaggio dunque. Polaroid mentali capaci di captare con leggerezza il cuore di un paesaggio. L’ispirazione e qualcosa di incredibilmente personale e non sempre chi non ne ha la paternità e in grado di coglierla, ma nelle composizioni di Faganel spesso e manifesta o sembra esserlo.
Le vedute del Gargano ricordano ventri materni, rotondi e fertili. Sono un susseguirsi di languide curve che accompagnano l’occhio, distratto lievemente da alberi appena accennati, fino al mare o al suo contraltare: il cielo. Squarci nella roccia, le cave del Rossiglione. La natura sembra si faccia da parte, indignata testimone della crudeltà umana. Le miniere di ocra appaiono come sacrileghe ferite inferte da mani avide. Semplici linee e gradazioni di terre. Fuochi artificiali, scoppi improvvisi di cromie, profili di donne drappeggiate in sari scarlatti, la folla come un grande e unico animale, migliaia di persone al mercato o alle feste religiose.
L’India. Lo sfarzo della povertà. In queste composizioni si avverte l’afrore dei corpi e l’oppio di aromi esotici, si percepisce il lento incedere degli elefanti nascosti dalla fioritura degli edifici. Gli impianti sono fitti, tolgono il respiro. I colori come spezie, gemme, polvere e sole.
Le Hawaii di Faganel nascono nella luce, sfavillano di fluoscenze. La natura a tratti fiabesca si slancia verso il cielo, non di rado infatti l’attenzione del pittore si ferma sui tronchi di svettanti palme, la sua capacità di vedere oltre la materia e di travalicarne la soglia si diletta con ombre bluastre e violacee, con chiome infuocate d’alberi. Ovunque conflagrano ibischi e spruzzi d’acqua di mare. Un’apoteosi di vita. Pura suggestione. Il colore è pieno e deciso, raramente sfumato.
Lo stile cambia quando si piega a raffigurare le grandi città dell’America del Nord. Un inno alla modernità e al progresso con un pizzico di salutare ironia. I tratti sono netti e puliti, quasi fumettistici. Cieli infiammati da tramonti spavaldi e nebbie fosche su citta descritte con un focus lontano, come a voler prendere le distanze da tanto meraviglioso cemento.
Il calore ritorna nei cicli dedicati ai paesi baciati da soli più cocenti. E allora l’anima delle cose si impone, risoluta. La Spagna emana rossi drammatici, screziature di verdi e una vasta gamma di aranciati; è luce e ritmo. Il ritmo frenetico del flamenco, la misura delle vestigia secolari.
Lanzarote si enuclea nella lava, lava che, per assurdo, non è sinonimo di distruzione ma di vita. Grigio e nero di rocce create dal magma, ocra e senape di spiagge desolate, il rubino dei petali carnosi e lo smeraldo delle creature arboree. Come suggelli di rinascita.
Anche la Tunisia è figlia di un’aria rovente. Sabbia imbrigliata dall’uomo operoso, arguto costruttore di recinti nel deserto.
E poi…
E poi Faganel ci mette al cospetto di uno dei popoli più affascinanti del pianeta. I Masai. Ieratici nelle loro tuniche porpora, si elevano su tutti noi. Si mostrano attraverso l’arte. E incutono rispetto. Sono il centro del disegno della natura. Come i cristalli di gelo a cui arriviamo seguendo questo sottile filo di antinomie, prive di concatenazione cronologica ma dense di significati. La neve dell’Austria, bianca di luce abbacinante. La neve che copre e maschera le cose ovattandole in un soffice vapore, rifrangendo i raggi solari in mille sfaccettature, illuminando la notte e svelando tracce insospettabili. Fresca e gentile compagna di giochi.
Gli acquerelli di Roberto Faganel sono fatti di materia impalpabile, di sensi acuiti, di canti intimi. E, soprattutto, sono la testimonianza del grande amore per la sua terra: il Carso. I Carsi ad acquerello incarnano una natura preferibilmente autunnale; sono angoli di sublime incorniciati dai cromatismi del sommacco che trionfa nei suoi arabeschi bruni, fulvi, gialli, nei tocchi di amaranto e di infinite nuances a cui non siamo in grado di dare un nome, pur vedendole fissate sulla carta. Contrastano con il bianco ossa della pietra e con la terra argillosa. Sono foglie tra brume mattutine, mosse da brezze salmastre o sferzate da bore crudeli. Sono trionfi di querce secolari e di tratturi appartati.
Emozioni e poesia. L’Anima Mundi.
 
Silvia Valenti, Speciale Cultura di Voce Isontina, 30 gennaio 2010