Luce e colore

E’ trascorso più di un decennio dall’ultima grande mostra personale di Robert Faganel allestita nel Kulturni Center «L. Bratuž» di Gorizia. Ora, in occasione del suo genetliaco giubilare, l’artista ci si presenta di nuovo con una silloge di opere realizzate negli ultimi vent’anni. La ricca produzione creativa dell’artista, che si è dedicato intensamente alla pittura pur senza trascurare altri importanti impegni, fornisce un’ulteriore prova che Gorizia e il sue territorio occupano un posto di tutto rispetto nell’arte slovena.
La passione artistica di Roberto Faganel incominciò a manifestarsi e crescere negli anni giovanili, quando, abbandonato il violino — strumento nel quale si era diplomato al conservatorie di Trieste -, decise di dedicarsi al pennello e alla tavolozza. Acquisì solide basi del "mestiere" di pittore alla Scuola Libera di Figura del Civico Museo Revoltella, a quell’epoca diretta da Nino Perizzi, che già in gioventù era noto come ottimo disegnatore e che ebbe per allievi diversi pittori sloveni. Copiosi frutti diede poi anche il pluriennale «servizio» svolto presso il pittore Riccardo Testi, che instradò I’amore di Faganel per i colori su un percorso di approfondimento teorico e pratico. Faganel cominciò a esporre già agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso. Le sue prime mostre insieme con quelle dei suoi coetanei suscitarono a Gorizia la speranza della rinascita della produzione figurativa slovena, che nel periodo tra le due guerre mondiali si era pericolosamente impoverita a causa della sfavorevole situazione che s’era venuta a creare, mentre la nuova generazione di artisti cominciava in questo periodo ad aprirsi la strada in un ambiente sociale e politico completamente mutate ed in une spazio che dopo il secondo conflitto mondiale era state staccate dal sue vivace retroterra artistico e culturale. La generazione dei poeti nati nel decennio precedente la seconda guerra mondiale e negli anni della guerra stessa assicurò agli sloveni della Primorska (Litorale) una nuova crescita di quella produzione artistica che già nel XIX secolo aveva richiamato su di sé, grazie all’alto livello qualitativo, l‘attenzione del pubblico. La cerchia di questi artisti è eterogenea, come diverse sono pure le esperienze formative di acquisizione delle abilità pittoriche. Si assiste così allo sviluppo di aspirazioni artistiche per così dire parallele, da un lato rivolte all’analisi e all’approfondimento delle tendenze stilistiche contemporanee, dall’altro invece orientate verso la scelta di percorsi già sperimentati e verso il perseguimento delle proprie inclinazioni. Questa generazione di artisti dimostra molto coraggio e molta tenacia per le difficoltà che c’erano a presentarsi e farsi conoscere al pubblico. Fino a qualche decina di anni fa Gorizia non disponeva di adeguati spazi espositivi e per questo motive le mostre si allestivano nei caffè e presse istituzioni che disponessero di una sala sufficientemente grande. Così fu anche per Faganel, la cui prima mostra allestita nella nostra città fu ospitata al Caffè Teatro. Già le prime opere rivelavano quell’amore dell’artista per la natura (il circondario, la landa carsica, un vecchio albero, le rive del mare, mazzi di fiori), che poi sarebbe diventata una costante della sua produzione pittorica. La natura tuttavia non lo faceva assopire in facili soluzioni impressionistiche, ma al contrario lo stimolava alla ricerca di nuove leggi cromatiche, di forze interiori, icasticità, cangiabilità... l’artista prestò ascolto ai richiami della natura ed ancor oggi si concede con amore al suo incanto.
L’esuberanza giovanile fece sì che la realtà locale diventasse troppo angusta per lui e che nascesse in lui il desiderio di respirare un’aria diversa. E in un tempo in cui i viaggi in terre lontane non erano cosa comune e semplice come sono oggi, egli seguì il richiamo della natura selvaggia dell’Africa per andare alla scoperta dl fantasie coloristiche ancora sconosciute. Che ciò non fosse qualcosa di comune, Io dimostra un articolo del «Novi list» al cui autore sembrò degno di nota il fatto che «il giovane pittore sloveno di Trieste si accinge a compiere un lungo viaggio in Africa e nell‘America del Sud, ovviamente con l’intento di dipingere (...). Questo non può stupirci poiché sappiamo quanto egli abbia a cuore il paesaggio e come ami i colori»
Con questo suo primo viaggio l‘artista diede sfogo alla sua passione per la ricerca, che ancora oggi lo spinge verso l‘esplorazione di nuovi ambienti. In seguito fu la volta dei viaggi alla scoperta di paesi esotici dal conturbante afflato, che arricchirono in modo particolare l’opera dell’artista. Questi viaggi accomunano il pittore a quella schiera di artisti europei che già nel XIX secolo cominciarono a provare un acuto interesse per i paesi lontani e che nel corso dei loro lunghi viaggi, a volte anche costellati di pericoli, riempivano i loro taccuini di disegni e di ogni sorta di appunti diaristici e di viaggio. Tra questi artisti si possono annoverare per esempio anche i pittori sloveni vissuti nel secolo scorso Jaro Hilbert e Aleksa Ivanc, i quali subirono il fascino del Vicino Oriente e dell’Africa selvaggia ed arricchirono il panorama iconografico sloveno con l’originalità dei loro motivi. L’inestinguibile desiderio di nuove esperienze negli sconfinati spazi naturali e la voluttà che deriva dalla magica forza in essi insita producono nell’opera di Faganel delle associazioni tematiche con le opere di alcuni pittori sloveni residenti all’estero, soprattutto nell‘America Meridionale e Settentrionale, i quali spesso si abbandonano all’ispirazione che promana dalla pampa sconfinata, dalla selvaticità fatamorganica del deserto, dalle foreste vergini e dalle smisurate distese oceaniche. D’altro canto Faganel può essere inserito nella ricca e variegata schiera dei paesaggisti sloveni e, in senso più stretto, nel novero degli artisti della Primorska (Litorale), che sono da sempre sensibili al fascino aspro del Carso e dei suoi colori, alla suggestione della riva del mare, all’ondeggiare delle colline del Collio, alle sfumature di verde della valle della Vipava (Vipacco), a prescindere dal fatto che siano nati in queste terre o vi siano stati attratti dalla bellezza della natura.
Ogni viaggio, che in sostanza consiste in un soggiorno di diversi mesi nei luoghi prescelti, è per Faganel un’esperienza in sé conclusa, con il risultato finale di una serie di quadri che vengono selezionati per delle mostre che a loro volta conducono l’artista in diverse località più o meno remote. Tutti i viaggi, tuttavia, tutte le appassionate ricerche e gli abbozzi di motivi esotici finiscono per confluire e trovar esito nella realtà locale. Ed egli torna a trovare ispirazione nel paesaggio carsico e soprattutto nella natìa Gorizia, alla quale ha dedicato un particolare ciclo di dipinti a olio, un vero hommage alla nostra città. Altre fonti di ispirazione sono il circondario di Gorizia e l’intera Slovenia, dal Prekmurje (Oltremura) al mare. L’infatuazlone di Faganel per la natura trova un incentivo anche nella quiete che I’uomo prova quando vi si immerge. E proprio la quiete, intesa come valore spirituale, ha portato l’artista a soggiornare a lungo e dipingere entro le mura della certosa di Pleterje. II silenzio accompagnato dalla contemplazione di un modo di vivere appartato e avvolto in un‘atmosfera sacrale risulta essere di nuovo un trait d’union con un’artista slovena, essa pure residente all’estero, Marjanca Savinšek, cui la pace dei conventi ha ispirato tematiche analoghe, una vera rarità nell‘arte slovena. D'altronde ogni artista è a modo suo un solitario, se è vero che nella fase della creazione artistica deve affrontare e sciogliere da solo un complesso nodo di dubbi, dilemmi e contrasti interiori. Fanno parte della selezione della materia pittorica di Roberto Faganel oltre ai già citati motivi paesistici anche nature morte raffiguranti vegetali, animali e oggetti inanimati, e inoltre nudi, ritratti, vedute marine, motivi veneziani con le tipiche facciate degli edifici — inconsciamente tornano alla memoria le facciate delle case veneziane di Music -, ma anche case coloniche, scene di lavoro quotidiano, frammenti di vita risalenti all’infanzia.
Una luce illumina le opere di Faganel, una luce che si potrebbe dire di derivazione impressionistica e che è permeata delle sensazioni che il pittore traspone sulla tela con tratto espressionistico. Il fatto che l’artista prenda spunto da elementi realistici ed intrecci tra di loro particolari stilistici di diversa derivazione produce un particolare effetto finale: a volte ci sembra di immergersi in un paesaggio del tutto reale, altre volte invece entriamo in una dimensione quasi onirica, al che contribuiscono anche i colori, latori di significati simbolici e talvolta pure di accenti lievemente surrealistici, magici. Tutte caratteristiche, queste, che vanno attribuite anche al fatto che i quadri a olio vengono realizzati prevalentemente in studio, lontano quindi dalle prime impressioni e dai primi, immediati abbozzi. L’opera finita viene ad essere quindi la proiezione delle impressioni che l’artista rielabora e nobilita con la sua visione interiore. Ogni quadro cela una propria storia, ogni sfumatura di colore è il riflesso degli stati d'animo e delle esperienze dell’artista, il tratto di pennello esprime drammaticità o lirismo, l’angolazione prospettica può aprire il nostro sguardo verso uno spazio che si perde in lontananza sulla linea dell’orizzonte oppure limita recisamente il nostro campo visivo alla porzione di spazio prescelta. Sebbene l’autore non coltivi intenti descrittivi, tuttavia nelle sue note pittoriche possiamo individuare frammenti di vita quotidiana, azioni che l’uomo in un modo o nell’altro ripete già da secoli in tutto il mondo, gesti rituali, la folla al mercato, il monotono, sfibrante lavoro nelle piantagioni.
In ottemperanza alle scelte operate dall’artista stesso, al Kulturni center «L. Bratuž» sono esposti i quadri a olio realizzati nel periodo tra il 1987 e il 2009. Con l‘eccezione di poche tele che hanno per soggetto ambienti a noi vicini, le altre opere sono raggruppate secondo nuclei tematici ben precisi e sono il frutto dei alcuni del più significativi viaggi fatti dall’autore alle Hawaii, negli USA, all’arcipelago delle Canarie, in particolare all’isola di Lanzarote, in India (nello stato del Kerala) e in Tunisia. Per la mostra allestita nella galleria «Ars» presso la Katoliška knjigarna — Libreria Cattolica, I’artista si è limitato a proporre lavori a olio di formato ridotto — mai prima esposti, come afferma il pittore stesso — ed acquerelli, che spesso sono serviti come base per la successiva realizzazione di quadri a olio. Sorprendentemente la mostra ci rivela un’immagine alquanto diversa, più pacata, dell’autore, che spesso in passato ci ha circonfusi dello sfarzo barocco dei suo colori.
A introdurci alla mostra è un suggestivo trittico, una sorta di sacrale viatico d‘ingresso in un paese di emozionanti esperienze. Uno scintillante sfarfallio di minute macchioline di colori vivaci in un non meglio definito momento del giorno evoca l’immagine di un mondo di tavola, avvolto da un velo di luce azzurrognola. La mostra vera e propria comincia, simbolicamente, con un motivo caratteristico delle nostre terre, la «Raffica di bora» (1987), che è anche, tra le opere esposte, quella che più risale indietro nel tempo, mentre a concludere la rassegna è il quadro più recente, che raffigura le «Tre Cime di Lavaredo», famoso gruppo montuoso che sorge nel cuore delle Dolomiti. La folata di bora ci presenta, nello spirito espressionista, ben più che un fazzoletto di terra con degli alberi che cercano di resistere alla veemente forza del vento. La completa assenza di colori autoctoni ci trasporta in un mondo in cui la realtà si trasmuta in un linguaggio simbolico. Poiché ogni dipinto è in qualche modo condizionato da pulsioni interiori, anche inconsce, è forse consentito vedere nel quadro un riferimento all’esperienza di vita dell’autore: il refolo dal paese natìo lo sospinge lontano nel mondo, ma alla fine egli approda e si ferma sul suolo granitico delle proprie origini, di quelle radici cui si è mantenuto fedele. Le celebri vette dolomitiche risplendono al sole mentre più in basso si addensa una coltre di nebbia; la luce emana dall’interno di fenditure rocciose dai profili aguzzi e dalle creste delle cime, addolcendo con le sue sfumature rosate le asperità dei dirupi.
Nei lavori che si riferiscono alle isole Hawaii l’occhio si perde nella vastità delle verdi piantagioni circondate da palmizi di cui pare di udire il fruscio delle foglie, o ancora nell’ estensione delle solitarie spiagge sabbiose con la loro vegetazione di palme e sottobosco, nel rigoglio degli acquitrini o dei boschetti di bambù, nelle ben curate piantagioni. E si resta ammirati dal carattere selvaggio della Spiaggia dorata, mentre si ammutolisce incantati e al tempo stesso reverenti di fronte all’impeto delle onde del mare. Si rimane tutti compresi dal senso di solitudine che pervade la sconfinata spiaggia su cui si staglia un'imbarcazione abbandonata, mentre raffiche di vento piegano i flessuosi tronchi dei palmizi scompigliando le loro rade chiome e increspando i possenti marosi: è in questi momenti che ci si rende conto della propria infinita piccolezza di fronte all’incommensurabile grandezza della natura, che in se cela innumerevoli sorgenti d’energia ma anche pericolose insidie. Da un lato queste opere sono eseguite con tecniche quasi da disegnatore, con minuti tratti di pennello nelle tonalità più delicate, talora con stesure di colore trasparenti, e rivelano un indubbio equilibrio compositivo. Dall’altro lato invece sono dipinte con impeto, con tratti decisi e utilizzando colori puri: la forza dirompente della natura infuriata promana dalle erte e acuminate scogliere che scoscendono a picco sulle onde del mare, dai marosi minacciosamente spumeggianti e dal cielo plumbeo. Analoghe sensazioni di impotenza e fragilità di fronte alla grandiosità del creato risveglia in noi la veduta dall’alto dei nitidi contorni delle anse del Grand Canyon, ricordo di un altro viaggio. Si ha l’impressione che ad onta della loro monumentale immobilità si muovano serpeggiando verso un qualche punto lontano dell’orizzonte. Tra le opere esposte c’è anche un paesaggio con cavalli che pascolano liberi in una natura ancora selvaggia: in questa tela si può scorgere un significato più profondo riferibile alla bellezza della libertà, di quella libertà che ciascun uomo può sentire dentro di sé, anche se forse qualcosa esternamente lo limita e comprime. L‘impianto del quadro risponde ad una scelta meditata: uno dei cavalli è stretto tra due tronchi d’albero — il che attrae l’attanzione dell’osservatore — mentra gli altri due sone collocati nella parta centrale della composizione, quella più luminosa, cosa che ne accentua l’importanza. Nella scena rappresentata si può vedere un riferimento all’attività creativa dell’artista, cui il dipingere consente di muoversi liberamente attraverso le ampie distese della natura e della spirito.
Una certa inquietudine l’autore ci fa provare di fronte alla maestosità del vulcano Timanfaya, che sorge sull’isola di Lanzarote nell’arcipelago delle Canarie. La spaventosa montagna ha affascinato l’artista per la mutevolezza dei suoi colori al cambiare della luce del giorno. l vividi colori, con la loro carica espressionistica a la pennellata inquieta ci conducono in una landa adusta, infuocata, dove la colata di lava si apre la strada nel fianco della montagna. La calda tonalità dei sassi, frammisti a gradazioni fredde d’azzurro, si fondono armoniosamente con il colore giallo, che incarna la luce. Rinfrescanti appaiono per contrasto i ritagli raffiguranti boschi di colore verde scuro e chiame d’alberi di colore verde chiaro, disseminati sugli scuri rilievi montuosi. In taluni casi il mondo reale subisce un tale processo di semplificazione, che i quadri si avvicinano all’astrattismo espressionista.
Poi di nuovo il nostro sguardo si acquieta posandosi sugli scorci di landa pietrosa con piante di ginestra lungo la costa adriatica, oppure sul sommacco carsico splendente dei suoi colori autunnali, o ancora su un verde prato in fiore, poi leggermente trasalisce alla vista del Sinji vrh avvolto in nubi tempestose, e alla fine si ferma sulla splendore autunnale del sommacco che ci riscalda il cuore creando un’atmosfera di familiarità.
L’armonia compositiva e cromatica contraddistingue il ciclo ispirata all’India. L’uniformità della luce, qua e là qualche dettaglio che risalta per la pennellata di colori accesi, il tratto rapido del pannello: tutta ciò evoca particolari palpiti di vita di questo Paese di sogno, da sempre tanto decantato. Qui in un tempio troviamo le silhouettes discrete ed eleganti di donne che, avvolte nei loro sari di seta, si muovo no in una luce giallognola che ogni cosa circonfonde, in un’atmosfera di raccoglimento, di silenzio e di spiritualità, atmosfera che per certi aspetti solo il mondo orientale sa creare. Analoga sensazione di pacatezza si avverte nelle cerimonie induiste o di fronte alla semplice, inaspettata pioggerella monsonica che cade sul mercato cittadino. Il pittore, solitamente incline all‘uso di tinte forti, vivide e di tratti decisi, lascia qui il posta al raffinato poeta dalla delicate sfumature giallognole, rosa-arancione e azzurre, che perfettamente s’attagliano al carattere e all’atmosfera di quel Paese. Sebbene l’autore si dedichi prevalentemente al paesaggio, sa tuttavia, con un’attenta scelta di motivi, darci contezza della vita, del lavoro, delle credenze e degli usi della gente, conferendo alla propria opera anche un valore etnografico e sociale. In alcuni piccoli scorci del Kerala compaiono con maggior decisione anche delle figure umane, che dal bordo inferiore si sviluppano verso l’alto e diventano, per le loro dimensioni, l’elemento principale del quadro. Nel dipinto dedicato al bagno rituale, una delle ragazza addirittura si volta verso l’osservatore stabilendo così con lui una liason più intima. Le idilliache atmosfere dei canali e degli specchi d’acqua ricoperti di fiori, che già incantarono e ispirarono celebri pittori impressionisti, hanno toccato la sensibilità di Faganel con le loro delicate tonalità azzurrognole e rosee.
Il ciclo tunisino è stilisticamente e cromaticamente affine a quello indiano. L’artista ha saputo rendere con particolare sensibilità lo spiritus loci. Il tempo sotto il cocente sole africano si è fermato, ogni cosa è immota, avvolta nell’indolenza della torrida giornata. Le tonalità giallo-pallide e bianche riflettono con precisione il carattere, il colore e la luce dei villaggi e di una terra in cui solo qualche arido filo d’erba può crescere tra le dune di sabbia.
La parallela mostra allestita alla galleria «Ars» presenta una scelta di quadri a olio di minori dimensioni mai prima esposti, ma, nonostante le ridotte dimensioni delle tele , l’abile mano dell’artista riesce a creare una sensazione di ampiezza spaziale. Un secondo nucleo di opere è costituito da una serie di acquerelli realizzati nel corso dei viaggi come rapide annotazioni pittoriche di scorci paesistici o di particolari, momentanee condizioni della natura che l’artista ha ritenuto degni di essere registrati. Queste opere solo raramente sono uscite dallo studio del pittore, visto che appartengono ad una sorta di personale scrigno in cui sono custoditi ricordi, impressioni, esperienze, riflessioni, sensazioni di consolazione e conforto, insomma quei sentimenti che l’artista prova nel corso del processo creativo. Si tratta di annotazioni che hanno per oggetto impressioni immediate, dirette, e che possono in seguito diventare la base per un quadro di maggiori dimensioni oppure sono destinate a rimanere per sempre semplicemente un ricordo di attimi genuinamente e intensamente vissuti. In queste minute opere sono racchiusi i ricordi dell’ambiente natio, di luoghi vicini e lontani, di una natura a volte rigogliosa, altre volte arida e inospitale, di momenti di malinconia e gioia. Questi fogli di pur modeste dimensioni riescono tuttavia a supportare grandi cose: reggono il peso di un oscuro bosco, di sterminati uliveti, la furia di marosi schiumanti, l’impeto dei vulcani, ma anche esili fili d’erba oppure la rigogliosa vegetazione tropicale e altro ancora. Gli acquerelli integrano e completano il profilo del pittore goriziano, che da diversi decenni ormai ci arricchisce e allieta con la spontaneità e la bellezza della propria arte.
 
Verena Koršič Zorn, 2011, traduzione di Katja Vončina